Okay, ammetto che il titolo di questa newsletter è provocatorio.
Non ho l’obiettivo, né il desiderio di sminuire il fenomeno della violenza di genere.
Da donna so molto bene cosa significhi camminare per le strade del mondo, abitare questa società e ridurre consapevolmente la propria libertà per “non rischiare” la pelle.
Voglio, però, fare luce su altri tipi di violenza, altrettanto gravi, dove il genere non c’entra nulla.
Libri letti sul tema, scritti da chi il fenomeno lo ha indagato meglio di me con numeri alla mano, mi dicono che non si può generalizzare, non si può affermare che la violenza è sempre violenza, perché quella di genere è un fenomeno così peculiare che va approfondito e sviscerato a parte.
Sono d’accordo: la violenza di genere è sintomo grave di una cultura patriarcale che va vista, definita, capita e rifiutata per eliminarla definitivamente.
Allo stesso tempo, sono convinta (restando pur sempre aperta al confronto e al cambiare opinione) che definirla “di genere” sia riduttivo o quantomeno limitante per il fenomeno assurdamente complesso che ci ritroviamo a guardare, analizzare, vivere.
Genere oppresso e genere oppressore
Un anno fa, in concomitanza con la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, lessi un contenuto in cui si marcava una linea netta tra genere oppressore (aka uomini) e genere oppresso (aka donne).
Ora, che la cultura e società in cui viviamo siano profondamente radicate in logiche patriarcali, alle quali nessuna persona sfugge, è tristemente assodato e non si può contraddire.
Allo stesso tempo, non da sociologa o antropologa, né acculturata femminista (ho ancora tanto da studiare), bensì da psicologa, trovo estremamente difficile accettare una distinzione così netta e semplicistica di un fenomeno che non può ridursi a dividere uomini e donne in due insiemi distinti e lontani, come se non si toccassero e mescolassero tra loro.
Mi rendo conto che viene sensato pensarla così, alla fine la violenza è di genere: è fatta da un uomo su una donna, è ovvio che il primo sia “genere oppressore” e il secondo sia “genere oppresso”.
Se, però, guardiamo al fenomeno un po’ più da vicino, se entriamo in quelle dinamiche relazionali abusanti, dove un compagno o marito picchia la compagna o moglie, non di rado ci troviamo di fronte a un sottoprodotto di questa violenza di genere di cui, ahimè, non si parla ancora abbastanza.
Violenza assistita
Nelle famiglie in cui vige violenza domestica (in teoria “di genere” dentro le mura di casa) nel 42% dei casi sono presenti figli.
[Dati del 2023 tratti da un’indagine effettuata nel 2024 da Save the Children in collaborazione con il Servizio Analisi Criminale].
Si arriva così a scoprire un altro tipo di violenza: quella assistita.
In cosa consiste esattamente?
Subire violenza assistita significa vedere una persona cara (madre, fratelli o sorelle, animali domestici) venire picchiata, screditata, svalutata, manipolata, isolata dal padre.
Assistere, in sostanza, a violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale e/o economica su una figura di riferimento e/o significativa.
È un tipo di violenza indiretta che coinvolge soggetti minorenni, il cui abuso è diventato reato solo nel 2013: da una decina di anni (pochissimi!).
Perché reato? Perché violenza?
Perché assistere a un clima familiare violento, fatto di urla, tensione, terrore, paura costante, instabilità e imprevedibilità, di fronte al quale si vive un senso di profonda impotenza, ha un impatto enorme sullo sviluppo fisico, psicologico, cerebrale del minore.
Eppure la gravità del fenomeno non finisce qui.
Ci sono situazioni in cui quella violenza non si “limita” all’essere vista e subita in modo indiretto.
Esistono casi in cui alla violenza assistita si aggiunge la violenza fisica e/o psicologica diretta.
Un marito e padre che oltre a violare la dignità della moglie, estende l’umiliazione anche ai figli.
Maltrattamento infantile
Secondo voi in questi casi la violenza resta ancora di genere?
Pensate che il padre padrone, patriarca e tiranno, picchi solo le figlie femmine, mentre tratti con privilegio e rispetto i figli maschi per una mera questione di genere?
Tristemente, no.
Sempre nell’indagine riportata sopra di “Save The Children”, nel 2023 sono stati registrati 2.124 casi di violenza sui minori - e cito:
equamente divisi tra i due sessi (51,1% femmine e 48,7% maschi).
Aggiungendo che:
In più della metà dei casi (52%) si tratta di bambini e bambine di età pari o inferiore ai 10 anni.
Per dare una panoramica generale, il maltrattamento infantile è un fenomeno che raggruppa diversi tipi di abusi e violenze sui minori (bambini e adolescenti):
violenza fisica
violenza psicologica
trascuratezza delle cure
abuso sessuale
violenza assistita
Più del 90% di questi abusi avviene “a casa”, nella propria famiglia, in quel luogo che per un bambino dovrebbe essere sicuro e protetto.
La violenza sui minori è molto diffusa ma, al contempo, difficilmente rilevabile sia per meccanismi culturali di minimizzazione e negazione del fenomeno, sia perché si caratterizza per verificarsi prevalentemente all’interno della famiglia, col forte rischio di restare inespressa e invisibile, ampliando e cronicizzando i danni sul piano fisico e psicologico delle vittime.
- Save The Children
Il maltrattamento infantile, inoltre (va detto), non è solo a opera di padri padroni e uomini che incarnano molto bene quel patriarcato da combattere.
Anche le donne possono interiorizzare valori prettamente “maschili”, arrivando a essere violente nelle loro famiglie così come l’uomo (seppur in forme diverse).
Qui si entra in un territorio ancora più faticoso e difficile da vedere, riconoscere e accettare, perché quando è la madre a esercitare violenza fisica, psicologica, trascuratezza delle cure e altri abusi, c’è una tendenza alla negazione ancora più forte.
A questo punto non siamo più di fronte a un fenomeno di violenza determinato dal genere.
Siamo di fronte a un abuso di potere a tutti gli effetti e su più livelli, che usa le debolezze e vulnerabilità oggettive di quei minori che per un padre e una madre dovrebbero essere figli da proteggere e tutelare.
She calls for help, but no one seems to care.
Approfondirò l’esperienza della violenza assistita, fisica e psicologica sui minori nel mio profilo Instagram: durante il mese di novembre pubblicherò contenuti divulgativi con l’obiettivo di raccontare, sensibilizzare e denunciare il fenomeno.
Dare voce a chi voce non poteva averla in passato e a chi non ce l’ha oggi perché costretto in dinamiche dalle quali non può uscire anche se volesse.
IPV: Intimate Partner Violence
Fin quando parliamo di violenza assistita possiamo ancora pensare che in fondo è un derivato di una violenza che è e resta di genere.
Ma come possiamo spiegare la violenza all’interno delle relazioni con lo stesso sesso?
Si parla di Intimate Partner Violence (IPV) quando la violenza fisica, psicologica e/o economica si verifica all’interno di relazioni intime in senso più ampio.
Si evidenzia così un fenomeno che non è esclusivo di coppie eterosessuali, ma che arriva a toccare anche coppie omosessuali e bisessuali.
Le vittime in questi casi hanno lo stesso sesso del loro abuser: donne lesbiche abusate dalle loro compagne, uomini gay abusati dai loro compagni, persone bisessuali abusate dai loro partner.
Non ci sono ancora sufficienti ricerche del fenomeno IPV all’interno della popolazione LGB, ma gli studi effettuati negli ultimi anni a riguardo evidenziano una frequenza del fenomeno uguale a (se non maggiore di) quella presente nelle coppie eterosessuali.
Qui non possiamo più parlare di violenza di genere, eppure c’entra sempre il patriarcato.
Sì, perché il fenomeno della violenza non si “gioca” sul genere, ma sulle dinamiche di potere presenti in ogni relazione, che sia di coppia o gruppale.
Femminismo o matriarcato?
Sì, lo so, in questa newsletter mi sto permettendo un po’ di provocazioni.
Non ho intenzione di definire matriarcali persone che lottano per un mondo più giusto e più equo.
Mi trovo spesso a chiedermi quanto livello di patriarcato e maschilismo inconscio ci sia nei miei discorsi, perché prenderne coscienza è sempre il primo passo.
Mi chiedo altrettanto quale sia il modo più adeguato (o che almeno io reputo tale) per combattere il patriarcato senza finire a fare lo stesso gioco al contrario.
Perché, per quello che mi ha insegnato la mia formazione in ambito psicologico, ci vuole molto poco a passare da vittima a carnefice e da carnefice a vittima senza sapere quando ci si è scambiati di posto.
Il fenomeno della violenza all’interno di coppie gay, lesbiche e bisessuali, altrettanto rilevante e importante, viene offuscato dal carico mediatico (necessario e fondamentale!) della violenza di genere.
Anche questo è frutto del patriarcato, che vuole la società eteronormativa e si contraddistingue per la sua omofobia intrinseca.
Nei CAV, centri contro la violenza sulle donne, i figli di sesso maschile maggiori di 14 anni non possono essere ammessi e ricevere supporto insieme alle loro mamme e fratelli o sorelle più piccoli, perché la Convenzione di Istanbul del 2011 stabilisce che non possono essere presenti uomini all’interno dei Centri Antiviolenza e Case Rifugio.
Il figlio “uomo”, vittima di violenza assistita e/o diretta, è costretto a separarsi dalla madre e a ricevere accoglienza in altri istituti.
Capisco la legge e comprendo bene come la figura maschile sia fortemente disturbante per le donne che hanno subito violenza.
Non capisco, però, come si possa dividere un figlio dalla propria madre in una condizione già difficile e complessissima come quella della violenza domestica, per una discriminante combinata di età e sesso.
La lotta al patriarcato NON è una lotta al genere maschile
Per dirla con le parole di Ginette Paris, psicologa, terapista, scrittrice e docente all’Istituto di Psicologia Archetipale e del profondo del “Pacifica Graduate Institute” in California, tratte dal suo libro Vita interiore:
La rabbia femminista contro il patriarcato […] è stata e resta una collera contro la corruzione del principio paterno. Quando il potere e la responsabilità si distaccano l’uno dall’altra, il potere diventa abuso e bisogna rovesciarlo.
In estrema sintesi e per semplificare: la lotta al patriarcato è una lotta all’abuso di potere, che porta al degrado di valori umani.
Il movimento femminista si è sviluppato per la libertà e parità di tutti, non è una guerra di donne contro uomini.
Fa leva su valori umani, affinché si esca dalla rigida distinzione di ruoli basata sui sessi.
Affinché si vada oltre, verso una parità di diritti che non vede più uomini o donne, ma esseri umani tutti, a prescindere da genere, orientamento sessuale, età, razza, etnia, estrazione sociale.
Esseri umani che lottano contro chi abusa un presunto potere tirannico che non ha e non può avere.
Bibliografia e Approfondimenti:
Maledetta Sfortuna - Carlotta Vagnoli
Indagine Violenza Domestica e di Genere 2023 - Save The Children
Violenza Assistita - Save The Children
Non solo maschio etero. La violenza domestica nelle coppie gay e lesbiche - VDNews
Violenza nelle coppie gay e lesbiche (IPV) - Istituto A.T. Beck
Ankyra - Centro Antiviolenza per donne e uomini, oltre il genere e l’orientamento sessuale, vittime di violenza relazionale e domestica.
Associazione Perseo - Per il supporto di tutte le persone vittime di violenza, senza distinzione di sesso, età, orientamento sessuale, strato sociale, cultura.
Vita Interiore - Ginette Paris