Noi siamo gli altri e gli altri sono noi
S: “Martina, c’ho paura.”
M: “Di cosa?”
S: “Di sbagliare, di fare cazzate, di espormi.[silenzio]
La verità? C’ho paura di essere giudicata.”
Ecco. Sono mesi che penso e ripenso a questa prima newsletter.
Mesi che rifletto su quale possa essere l’argomento più interessante, che tenga in considerazione gli altri, che faccia sentire compresi tutti e giudicati nessuno.
Mesi che cerco di trovare la quadra per scrivere qualcosa che abbia senso, che funzioni, che ✨piaccia✨.
Così se accontento tutti, nessuno ha niente da ridire e io sto serena 😮💨
Mh. Mi sa che non funziona così.
S: “Martì, non so che scrivere. Cioè, in realtà lo so, potrei scrivere di mille cose che mi appassionano, ma non voglio parlare di me.
Voglio parlare agli altri, di loro, farli sentire capiti, fargli provare la bellezza di essere visti dentro, non più soli.
Le poche volte che l’ho provata io quella sensazione è stata terapeutica, ho sentito l’anima respirare per la prima volta.”
M: “Speranza, noi siamo gli altri e gli altri sono noi. Non puoi togliere te dall’equazione.
Tu sei autorizzata a parlare di certi temi perché sei psicologa, ma non basta.
Nel tuo modo di fare psicologia, nel tuo modo di trattare questi temi c’è la tua persona, la tua storia, il tuo dolore, la tua gioia, la tua capacità di guardarti in faccia ed essere sincera con te stessa, immergerti dentro e affrontare le stanze che più ti spaventano.
Lì sta l’essenza di tutto. Non puoi buttarla via. È da lì che devi partire.”
E allora, partiamo.
La fatica di esistere
Esistere per me è sempre stato faticoso. Oserei dire una minaccia.
Ogni volta che provavo a farlo le critiche e i giudizi erano lì feroci, pronti a divorarmi:
“Sei stupida”
“Sei lenta”
“Sei troppo sensibile”
“Sei pesante”
“Pensi troppo”
“Sei presuntuosa”
“Sei troppo idealista”
“Sei permalosa”
“Sei aggressiva”
“Sei troppo riflessiva”
“Non sei leggera”
“Sei troppo profonda”
“Non sei spensierata”
E per finire “sei troppo dura con te stessa”.
A quel punto la voglia di rispondere a sorǝta! diventa fortissima.
Grazie alla peppa che sono dura con me stessa, sembra che non possa fare e dire niente che c’è sempre qualcosa di troppo o troppo poco, sempre qualcosa che non va bene a qualcuno.
Si potrebbe pensare che sono solo giudizi, lasciano il tempo che trovano, ma quando arrivano da persone che hanno rilievo nella tua vita, li ascolti e finisci per crederci.
Se mi dicono questo evidentemente un fondo di verità c’è 🤷🏻♀️
Devo guardarmi dentro, mettermi in discussione, migliorarmi, aggiustarmi, risolvermi.E allora via, impegniamoci a essere leggera, a lasciar correre, a non prendere le cose sul personale, a cercare di capire gli altri e i loro bisogni.
Per tanto tempo ho creduto che fossi così dannatamente sbagliata da non poter essere accettata (amata) e così ho imparato a non mostrarmi.
Perché il messaggio subdolo e implicito racchiuso in ognuno di quei verdetti è sempre stato questo: “io non posso/voglio amarti se sei fatta così (male), quindi cambia”.
Ovvero: “Io ho un’idea precisa di come tu dovresti essere per soddisfare i miei bisogni. Se tu esci dalle quelle linee, non soddisfi le mie aspettative e io non sono disposto ad amarti per come sei.”
Questo, almeno, è quello che c’ho letto per anni.
Se gli altri non mi danno amore (genitori, amici, potenziali partner) è perché c’è qualcosa di profondamente rotto e sbagliato in me e, quindi, devo impegnarmi per aggiustarmi, per farmi amare.
Risultato? Una vita a farmi piccina piccina per soddisfare i bisogni degli altri e farli sentire a proprio agio, anni di psicoterapia e un profondo lavoro introspettivo per scoprire che…
Toh, mi ero abbandonata pure io.
Avevo creduto a tutti lì fuori al punto da diventare la prima critica nei miei riguardi ☠️
Io non posso amarmi fin quando non sarò perfetta.
Fin quando non mi risolverò al 100%.
Questo era l’assunto di base da cui partivo.
Anziché accettarmi almeno io in tutti i lati belli e brutti e accogliermi interamente, ho imparato a tralasciare tutte le bellezze che porto dentro e a scandagliare ogni cosa fuori posto, ogni aspetto che mi avevano insegnato non andare bene.
Ero diventata così brava a trovarmi difetti che quando mi chiedevano quali fossero i miei pregi la mia espressione diventava confusa e farfugliavo qualcosa del tipo: Pre…Qua…Cos…In che senso?
Dentro di me il panico puro.
E mo che dico? Che ne so! Io di base non vado bene, mi viene pure da ridere a pensare a un mio pregio, mi sembra di prendermi per il culo da sola. Dai, ma quali pregi! […] Vabbè, diciamo perfezionista!
Per-fe-zio-nì-sta.
Il pregio più paraculo e fake che esista al mondo.
In realtà il difetto dei difetti, perché essere perfezionista è un vero dramma di vita.
Eppure ero coerente, stavo cercando di essere chi non ero per piacere a tutti, voglio dire… 💁🏻♀️
Ora, io lo so che tu dirai: eh però Spe, è vero che sei troppo. Troppo analitica, troppo preoccupata di quello che pensano gli altri. Essù, un po’ di leggerezza.
E se anche non lo stai pensando tu, lo ha pensato la mia mente, perché ormai quelle etichette sono diventate parte di me.
Una fatica immensa, lo dicevo prima, no?
Modalità di sopravvivenza
Quella che ho appena raccontato è una modalità di sopravvivenza. La mia.
Quando siamo piccoli abbiamo bisogno dei grandi di riferimento per superare la soglia critica di età in cui saremo sufficientemente autonomi per farcela da soli.
Così mettiamo in atto strategie difensive, soprattutto quando l’ambiente che viviamo è ostile.
La scelta di queste strategie è pressoché inconsapevole e avviene quando sperimentiamo le nostre prime interazioni con chi si prende cura di noi.
Quella che funziona meglio, ovvero quella che ci permette di essere maggiormente tollerati dai grandi dai quali dipendiamo (essere amati in sostanza), vince tra tutte e diventa il nostro modo di relazionarci agli altri.
Senza cure, attenzioni, affetto rischiamo la nostra vita.
Non abbiamo bisogno solo di cibo per sopravvivere, ci serve anche amore e noi, quell’amore, per quanto condizionato, arido, difficile che possa essere lo dobbiamo ottenere.
Sì, anche a costo di negare parti di noi importanti per restare in quella relazione.
Il problema sorge nel momento in cui le difese, giustamente attuate in passato, si irrigidiscono e vengono attivate anche quando non servono più.
Qualcosa che un tempo è stato funzionale alla nostra crescita, diventa disfunzionale nel nostro presente.
Insomma, si può restare intrappolati nella propria modalità di sopravvivenza:
C’è chi struttura la propria personalità sull’aggressività, diventando prevaricante, mettendo in atto comportamenti da bullo per difendersi e farsi ascoltare.
Chi cerca di essere sempre il migliore, il più bravo, raggiungere l’eccellenza rispettando le aspettative di tutti (che poi diventano le proprie) per sentirsi approvato, validato.
Chi resta fermo nella propria zona di comfort per paura di tutto, non sperimentando il mondo per evitare di incontrare pericoli e situazioni spiacevoli.
Chi cerca di accontentare tutti e compiacere gli altri per paura di essere abbandonato.
Tanti modi diversi, tutti con l’obiettivo di essere apprezzati e amati dagli altri, quindi, evitare il rifiuto e allontanare l’angoscia della solitudine.
Perché non siamo isole e abbiamo bisogno dello sguardo degli altri per sentire di esistere nel mondo. Abbiamo bisogno degli altri per stare bene.
Ecco che allora ci si abbandona un po’ di più, volta per volta, perdendo la propria autenticità perché costretti a recitare un ruolo.
Ma siamo ancora disposti a pagare questo prezzo?
Dal sopravvivere al vivere
Non siamo più così vulnerabili come un tempo, non rischiamo più la vita se non veniamo amati.
Insomma, non siamo più così dipendenti come quando eravamo bambini.
C’è un modo, allora, per rimuovere poco alla volta queste difese psichiche, riappropriarci della nostra autenticità e imparare a ricevere amore, magari incondizionato?
Un tipo di amore che riesca ad accogliere con occhi amorevoli i nostri difetti, i nostri limiti umani, i nostri sbagli, la nostra imperfezione senza dover lottare contro noi stessi, senza doverci caricare di mille pesi, aspettative, senza avere paura di uscire nel mondo e viverlo?
Sì, partendo dalla relazione con noi stessi.
Uscire dalla propria modalità di sopravvivenza è scomodo e spaventoso, bellissimo e impegnativo.
Richiede tempo, pazienza, compassione verso se stessi.
Bisogna disabituarsi a ciò che è per noi familiare e fare qualcosa di nuovo: imparare ad amarsi in modo incondizionato (cosa che con buona probabilità nessuno ci ha insegnato).
In questo caso anziché avere un approccio di risoluzione dei problemi (modalità del fare), è importante abbracciare un approccio basato sulla curiosità verso se stessi e le proprie stanze interne.
Sperimentare una nuova modalità, quella dell’essere.
Esistere semplicemente così come siamo, osservando il nostro mondo interiore con apertura, coraggio e non giudizio.
Ok, ma come?
La strada più breve è quella della psicoterapia (non l’avresti detto, vero? 🤭).
Hai un professionista (con minimo 10 anni di formazione tra università e scuola di specializzazione) che sa insegnarti ad accogliere le tue sfumature, senza giudicarle, vedendole per quelle che sono, dandoti strumenti per conoscerti e migliorare la relazione con te.
Non tutti, però, vogliono, sono pronti, possono fare psicoterapia e va benissimo così, perché ognuno ha i propri tempi e le proprie motivazioni.
Ecco allora alcuni spunti per iniziare a uscire dalla propria modalità di sopravvivenza che personalmente mi hanno aiutata e continuano ad accompagnarmi.
Sono la sintesi di 6 anni di psicoterapia, un continuo lavoro di consapevolezza, introspezione, contatto con le parti più buie di me e uno studio ossessivo, universitario e non, di manuali psicologici, ricerche scientifiche e materiale vario.
1. Ascoltati
Se non hai molta dimestichezza con il tuo mondo interiore la prima cosa che puoi fare è iniziare a prendere contatto con te.
Come? Osservandoti.
Sviluppa un atteggiamento di apertura e curiosità nei tuoi confronti. Osserva i pensieri che arrivano, osserva le emozioni che provi.
Semplicemente stai con te.
Questa cosa è sgradevole se non l’hai mai fatta.
Potrebbero sorgere paura, timore, ansia, un impulso fortissimo a scappare da te e a distrarti facendo cose (lavoro, social, amici, film, libri, ecc.), qualsiasi cosa che ti allontani dal tuo mondo interno.
Se riesci, prova a osservare la paura, a sentirla senza scacciarla, a osservarla come una foglia che cade e segue la traiettoria verso terra.
Prova a farlo con qualsiasi sensazione e pensiero che arriva, prova a non giudicarti per ciò che pensi e provi.
Se non dovessi tollerare tutto ciò che arriva, va benissimo così.
L’obiettivo non è raggiungere un risultato, non è performare con se stessi.
L’obiettivo è iniziare a conoscersi, un passo alla volta.
Come un bambino che impara a camminare: non lo insulti, giudichi, deridi se cade.
Lo incoraggi, lo fai riposare, lo comprendi nella sua fatica a imparare qualcosa di nuovo e mai fatto prima (si spera 🙄).
Ecco, non fare lo stronzo con te.
Anche semplicemente provare a fare questa cosa per 2 secondi e poi smettere ti avvicina un po’ di più a te.
Tentativo dopo tentativo, caduta dopo caduta, inizierai a muovere i primi passetti tremanti.
Passo dopo passo la tua camminata diventerà più sicura, decisa e così il tuo rapporto con te.
Dedicati del tempo per conoscerti, scopri come funzioni, quali sono le situazioni che ti fanno reagire in un certo modo e perché.
Non avere fretta, perché se non individui prima quali sono le porte disponibili per uscire dalla stanza rischi di aumentare il senso di frustrazione e restare lì più a lungo.
2. Accetta
Se hai individuato la tua modalità di sopravvivenza, la prima cosa che puoi fare è controintuitiva, ma potente: arrenditi.
Parti dal capire che è grazie a essa se sei sopravvissuto al mondo e alle prime relazioni (che di base sono sempre più o meno traumatiche).
Accetta che esiste in te.
È servita a proteggerti in passato e ora tu puoi insegnarle (e insegnarti) che si possono sviluppare nuovi modi per stare al mondo.
Diventa consapevole di come si manifesta nella vita di tutti i giorni, nelle tue relazioni, nel tuo dialogo interiore, nel tuo lavoro.
Anche qui, osservala e osservati, osserva i giudizi che emergono e lasciali esistere senza dargli troppa retta.
3. Rieducati
Diventa l’adulto di cui avevi bisogno quando eri bambino:
Come volevi essere trattato?
Quali bisogni non sono stati soddisfatti?
Come volevi venissero soddisfatti?
Quali parole avresti voluto sentirti dire?
Oggi puoi soddisfare tu quei bisogni, colmare quei vuoti lasciati, prenderti cura di quelle ferite ancora aperte.
Diventare l’adulto di cui avevi bisogno significa anche sviluppare un dialogo interiore gentile, comprensivo e non giudicante.
Imparare a parlarsi amorevolmente non è così semplice se non si è avuto un esempio costante (o se le belle parole che ti dicevano erano condizionate dai risultati che ottenevi, dalle tue performance a scuola, a casa, nello sport, dall’interagire con gli altri in un modo specifico).
Come fare allora?
Può essere di aiuto pensare a qualcuno che incarni queste qualità.
Un insegnante che adoravi, un amico, il personaggio di un film o di un cartone animato (tipo le principesse Disney sono un ottimo esempio di amore incondizionato, empatia e gentilezza; peccato solo abbiano sempre rivolto queste qualità verso principi, nani e streghe cattive e mai verso loro stesse 🤦🏻♀️).
Lasciati ispirare dall’esempio di questa figura e porta quelle qualità nella relazione con quella parte di te che sta ancora aspettando di essere amata semplicemente così com’è.
4. Esci dalla tua zona di comfort
Individua quali sono le cose che ti fanno restare bloccato in alcuni schemi e prova a uscirne, piano piano.
L’idea di procedere gradualmente, ma con coraggio, è per evitare di buttarsi totalmente nel vuoto e per capire che il tuo presente ha meno pericoli del tuo passato, perché oggi sei meno vulnerabile e hai maggiori risorse interiori per affrontare le difficoltà.
Esempio - Per chi è in costante performance 🥵
Se sei stato abituato a ricevere amore soprattutto quando raggiungevi ottimi risultati, ora anche tu sai apprezzarti solo quando eccelli e così ti ritrovi in un loop di performance continua: ogni cosa, anche l’attività più ludica, spensierata, leggera diventa una sfida per testare le tue capacità e, in fondo, il tuo valore.
È un peso enorme da portare, è sfiancante mettersi sempre alla prova.
In questo caso potresti concederti il lusso di sbagliare deliberatamente qualcosa di piccolo quando non c’è nessuno intorno a te a guardare.
Il tuo critico interiore più severo partirà immediatamente dicendoti che sei stupido, non vali niente, che sei incapace.
Tu puoi accogliere quelle osservazioni, comprendendo che vogliono proteggerti dagli sbagli, e poi dialogare con quelle voci spiegando che gli errori hanno una loro utilità, che sbagliare non definisce il tuo valore di persona, che puoi concederti più flessibilità, più compassione.
Esempio - Per chi vuole piacere a tutti 😇
Se sei solito compiacere tutti, provare a dire un piccolo no o la tua opinione su qualcosa di poco conto che si allontana dal parere altrui potrebbe essere qualcosa di minaccioso per te.
La paura associata è quella di essere scartato e abbandonato.
Eppure, nel momento in cui ti concedi la possibilità di dire “no”, di dare rilievo a te e ai tuoi bisogni, in primo luogo ti dimostri importanza e, in secondo luogo, potresti sperimentare che le persone, anziché abbandonarti, restano lì e forse ti apprezzano maggiormente perché hai apportato una prospettiva nuova.
Inizi a scoprire che puoi darti più spazio.
Esempio - Per chi usa l'aggressività per difendersi 😡
Se tendi spesso ad alzare la voce e ad agitarti, a reagire fortemente quando non ti senti capito, ascoltato, rispettato, puoi provare a prendere un respiro e modulare i toni, comunicando in modo deciso, ma calmo il tuo bisogno, il tuo sentire, la tua prospettiva.
Non c’è bisogno di sovrastare nessuno, puoi co-esistere con l’altro in una dinamica di rispetto reciproco in cui i bisogni di entrambi vengono presi in considerazione.
Sulla rabbia dedicherò una newsletter a parte, ma per il momento ti basti sapere questo: è un’emozione che sta cercando di dirti che alcune tue esigenze non sono state considerate e tu puoi farle valere senza necessariamente aggredire l’altro.
Esempio - Per chi si autolimita per paura 😱
Se eviti spesso occasioni sociali, ma anche attività solitarie da svolgere in autonomia per il timore di fronteggiare situazioni spiacevoli, ho una brutta notizia: evitarle rinforza la tua paura e così la frustrazione derivante.
Ciò che può essere utile in questo caso è farsi amica la paura.
Non ci sarà un momento in cui magicamente i timori spariranno.
Quello che puoi fare, dunque, è compiere una piccola azione che ti agita e farla insieme alla paura, sentendo l’ansia che sale.
Non scacciarla, lasciala accompagnarti mentre agisci un passo alla volta.
Devi portare necessariamente a termine l’azione? No.
Basta provarci, tornare indietro e in un secondo momento ritentare: volta per volta, la tua zona di comfort si allargherà e tu sentirai di avere un raggio di azione più ampio.
Qualsiasi sia la tua modalità tutto sta nel capire cosa succede dentro, cosa scatta in un dato momento che fa alzare le difese.
L’obiettivo è insegnare a quelle parti di noi che sono al sicuro anche se sbagliano, anche se deludono, anche se non predominano a tutti i costi, anche se non piacciono.
Scoprire, così, che gli altri ci possono amare per come siamo davvero, senza doverci sempre difendere, drenando così le nostre energie psichiche.
Imparare che l’amore lo puoi trovare nell’auto-accettazione incondizionata, per continuare ad amarti anche quando gli altri non lo fanno e per dare agli altri un tipo di amore qualitativamente più elevato, più nutriente.
Non voglio dire che è semplice, non voglio far passare il messaggio hippie dell’amore che vince su tutto (anche se in fondo ci credo tanto).
Voglio dire che l’unico modo per poter iniziare ad avere una sana e nutriente relazione con se stessi è smettendola di abbandonarsi, iniziando a considerare il proprio mondo interiore, dando spazio alle emozioni, non scappando più da sé (e lo so cazzo che siamo terrorizzati da noi stessi).
Personalmente c’ho messo una vita a capire che io andavo benissimo com’ero e come sono, che tutto ciò che mi porto dietro è il prodotto perfetto di traumi ed esperienze negative e positive vissute.
Che non c’è nulla di sbagliato in me, che posso pure piacere a tutti, ma se non piaccio prima a me stessa resto in un gioco truccato dove non vinco mai.
Essere qui e osare esistere a modo mio è un nuovo tassello al mosaico che sto pian piano costruendo: una Spe che non è più disposta a essere meno del suo valore perché qualcuno, un tempo lontano, non l’ha saputo vedere.
Questo progetto è un altro passo che mi allontana dalla mia modalità di sopravvivenza.
Con non poca paura e tuttavia, con grande desiderio di concedermi il lusso di non piacere, di dare fastidio, di essere giudicata e, quindi, di esistere nel mondo senza più fatica.
Ti saluto mentre do la mano alla paura e tremante ci dirigiamo verso il coraggio di inviare questa prima email.
Un pieno e lungo abbraccio,
Spe 🫂
P.S. Questa newsletter ha sì una motivazione personale, ma deve essere utile anche a te che leggi, quindi rispondimi pure con considerazioni, riflessioni, domande, dubbi su qualsiasi cosa.
Io sono qui e ti risponderò con un piacere immenso.
Inoltre sembra che parli proprio a me...probabilmente per questo mi è piaciuta tanto.
Veramente "chapeu", a te che dai la mano alla tua paura! Grazie per questa condivisione profonda, per la sincerità, che trasuda in tutto il testo, di raccontare una parte del tuo percorso e delle tue difficoltà. Non è un capitolo di psicologia nozionistica la tua:c è la vita dentro, la tua. E anche il tuo lungo percorso si sente tutto, da come parli. Davvero complimenti, per tutto. E grazie: questa tua newsletter va "studiata"...nel senso che va riflettuta, ma soprattutto maturata dentro, perché è davvero tanta roba. In verità anche le altre (io sono andata a ritroso, ho iniziato dall ultima per arrivare alla prima)