Quella che stai per leggere è una newsletter particolarmente impegnativa.
Tratta il tema dell’ideazione suicidaria, che non sempre si ha voglia o l’energia di affrontare, né tanto meno di sentirne parlare.
Se questo è il tuo caso, va bene così.
Chiudi pure questa email o cestinala se vuoi.
È un tema delicato, difficile e per questo importante.
Sono dell’idea che normalizzare alcuni pensieri e sensazioni di cui si parla poco, sia necessario per capire che non siamo rotti, non siamo sbagliati, non abbiamo qualche patologia, ma siamo esseri umani con alle spalle (molte, troppe volte) una vita difficilissima che si vorrebbe non aver mai vissuto.
Se ti va, l’email inizia qui sotto.
Se non ti va, ti abbraccio forte.
È tutto troppo
Possono esserci momenti in cui affrontare la vita sembra essere più spaventoso dell’idea di morire.
Tutto così sopraffacente.
Tutto più grande di te.
Tutto così difficile e nessuna garanzia che le cose possano prima o poi migliorare.
Fai una fotografia di questo stato che aleggia in te, di questo tornado di pensieri ed emozioni che ti prendono e ti mangiano vivo e la replichi su tutto il rullino di foto ancora da scattare (i giorni che verranno).
Ti tremano le gambe alla sola idea che la tua vita possa essere così schifosamente spaventosa.
In preda ad angoscia, vuoto, disperazione e nessuna certezza che possa calmare i demoni vivi in te.
L’istinto umano di fronte a cose grandi e indomabili spinge ad un’azione: la fuga.
Ma se quell’abominevole mostro risiede in te?
Se è dalla tua interiorità che senti di voler scappare, cosa fai?
La mente qui, brillantemente, ti propone una soluzione allo scacco matto che senti dentro: la morte.
Pensieri suicidari affiorano alla tua coscienza e il panico sale ancora.
Cresce.
Si gonfia.
A quel punto tutto è troppo e…
Ti vergogni di aver avuto quei pensieri, li neghi, cerchi di pensare ad altro, proprio non li vuoi, scappi ancora, ma questa volta da un mostro più grande.
Ti dici che non stai bene, che sei impazzito, che qualcosa in te non va e questa ne è la prova: “solo chi ha gravi problemi mentali pensa certe cose” - credi.
Ti rassicuri pensando che se proprio le cose vanno male, tu una soluzione ce l’hai per mettere fine a tutto il tuo dolore.
In un modo o in un altro la vita prosegue, un po’ spaventata, un po’ rassicurata.
Vita e morte che si annusano un po’, ora corteggiandosi, ora guardandosi con diffidenza.
Ma come si arriva a questo?
Frammenti
Ci sono momenti in cui, per necessità di sopravvivere in certi ambienti, superare determinati eventi, tollerare comportamenti difficili da accettare, avviene una spaccatura interna.
Per attraversare la vita quando ci pone davanti a dolori indescrivibili, situazioni drammatiche e fortemente disturbanti a livello psichico, si viene a creare una frammentazione del senso di sé.
Questo processo è qualcosa di necessario alla sopravvivenza quando ciò che si sta vivendo è troppo a livello emotivo, corporeo, mentale.
Si struttura, così, un paesaggio interno composto da parti, ognuna di esse con un ruolo finalizzato a proteggere e a garantire la sopravvivenza.
Parti che hanno modi di pensare, agire, sentire a volte contrastanti e in conflitto tra loro.
Alcune che sono “sicure” da riconoscere in noi e mostrare agli altri, altre negate a noi stessi perché un tempo non erano sicure per la sopravvivenza.
Per i clienti traumatizzati è difficile credere che “continuare ad andare avanti” possa essere una soluzione efficace. Perché la battaglia finisca è necessario che i clienti imparino ad avere fiducia nel fatto che tutte le loro parti si impegnano a sopravvivere, anche se in modi diversi: anche le parti con tendenze suicide più forti “vogliono morire per poter vivere”.
(Tratto dal libro “Guarire la frammentazione del sé” di Janina Fisher)
Si arriva così a capire che anche dietro a un impulso o a un pensiero autodistruttivo c’è un intento positivo di regolare degli stati emotivi intollerabili.
A volte, ahimé, è l’unico modo che una persona conosce per ottenere un po’ di sollievo da sensazioni schiaccianti, quando da piccola nessuno ha saputo contenere le sue emozioni più intense dandole un esempio costruttivo per calmarsi.
Il desiderio di suicidarsi riflette il punto di vista o l’impulso di una parte, non necessariamente di tutte. Prima di saltare a qualsiasi conclusione bisogna chiedersi: quale “io” vuole suicidarsi? La parte depressa? Una parte suicidaria? Cos’ha attivato questa o queste parti? Cosa motiva l’impulso o il sentimento?
(Tratto dal libro “Guarire la frammentazione del sé” di Janina Fisher)
Solo non così
Voler morire significa desiderare il controllo, non la morte. - Janina Fisher
Mi sono chiesta cosa direbbe la parte suicidaria se le venisse chiesto perché si attiva.
Nonostante non ci sia una risposta standard, ho provato a chiedere a una persona a me cara se avesse voglia di condividere in forma anonima la sua esperienza per aiutarmi a rispondere.
Di seguito la sua testimonianza:
Ho iniziato ad avere i primi pensieri suicidari almeno 4 anni fa.
Non li ho mai attuati perché spaventata da me stessa e ho sempre provato a scacciarli, inutilmente.
Alla fine, dopo anni a scappare da loro, nascondermi e nasconderli, ho deciso di fermarmi.
Con gli occhi pieni di paura e tremante, ho guardato dritto in volto quei pensieri lì.
Avevo tanta paura che quella parte di me potesse prendere il sopravvento e possedermi, facendomi perdere il controllo e, quindi, la razionalità.
Speravo, allo stesso tempo, che accogliendo la sua presenza senza resistenze questa potesse rabbonirsi e non farmi poi tanto male.
Ho iniziato con voce flebile a parlarle, a chiederle come mai era venuta a trovarmi, che messaggio stava cercando di veicolare con la sua presenza?
Le lacrime hanno iniziato a scorrere sul volto trasportando, in quella soluzione salina, terrore, agitazione, tormento, urla.
“Così no” - mi ha detto.
“Non ce la faccio più ad andare avanti così” - ha continuato.
L’ho ascoltata, piangendo insieme a lei e annuendo.
Ho sentito tutto il peso che portava con sé.
Improvvisamente si è rivelata essere meno spaventosa di quello che credevo.
Era lì per dare e chiedere aiuto.
Mi stava implorando di cambiare qualcosa, di non continuare come se nulla fosse, come se tutto andasse bene.
Non andava bene niente e stava provando a dirmelo.
Ecco che a quel punto è successo qualcosa.
Ho avuto improvvisamente una visione più chiara di ciò che stava accadendo.
Ho sentito che dietro a quell’idea suicidaria si nascondeva una grande voglia di vivere.
Solo non così.
Ho scoperto un tesoro nascosto, come ricompensa del coraggio mostrato: una voglia enorme di far parte di questo mondo nel miglior modo possibile - il mio - camuffata da desiderio di morte.
Una parte di me diceva: “voglio vivere un sacco, ma non in questo modo, se continui sulla strada intrapresa io perdo vitalità e con me anche tu”.
A quel punto mi sono concessa di respirare.
Ero entrata in contatto con una delle parti più profonde di me.
Ero nell’oscurità e avevo trovato un’indicazione per avvicinarmi alla luce.
Avevo ancora mille domande, ma sapevo che non dovevo avere tutte le risposte.
Ho capito che non c’era nulla che non andava in me, al contrario.
La vita mi stava invitando a far parte del mondo, a modo mio.
Non era malata, era stata ferita.
(Janina Fisher)
Un grande abbraccio (se vuoi),
Spes 🌱
P.S. Senza la pretesa di essere esaustiva sul tema (che non può limitarsi a 3 paragrafi) questa email prende spunto dall’integrazione di modelli teorici impiegati nel trattamento del trauma e confermati negli ultimi anni dalle neuroscienze.
L’obiettivo è validare, restituendole umanità, un’esperienza che molte persone vivono, ma che non condividono per paura di essere stigmatizzate e quindi tenute a distanza.
La distanza però, se troppa, nega la comprensione e la vicinanza a persone che avrebbero solo bisogno di qualcuno che le veda, le capisca, non le giudichi e non metta in discussione la loro esperienza soggettiva di una difficoltà concreta e reale.
Non si tratta di incoraggiare pensieri o impulsi autodistruttivi, si tratta di osservarli per quello che sono: conseguenze più che naturali di esperienze di vita disumane.
Articolo molto profondo e davvero interessante ❤️ È un piccolo aiuto alle persone che hanno bisogno di essere ascoltate e non giudicate
Grazie ❤️